Ode alla ditta

Lavoro mio, lavoro bello, lavoro dolce fondamento italiano,
Io ti avevo scelto, a te tra tutto, per crescere forte e onesto,
Col bene aggiunto della dignità ti avevo scelto,
Per gioire e fremere di rabbia al sentore di una nuova tassa
E lamentarmi poi coi simili miei che già dalla piccola età con me salgono questa scala di lacrime.
Io ti avevo scelto, destino mio, perché me l'aveva detto il mio papà che a farti mi sarei fatto uomo
Io pure, io, come lui che mi ha cresciuto.
E a te com'è giusto poi ci sono arrivato, e allora lascia che ti dica qualcosa, qualcosa di bello.
Ode alla ditta!
C'è un rumore di linea come sassi che raschiano la rondella ferrosa.
C'è rumore come di laser che fischia il frastuono improvviso di un pallet rovinato a terra.
C'è un fremere vibrante di friniti tremiti di avvitatori che assieme a noi ragliano improvvisi,
Svegliando i sensi alle sette del mattino,
Con fuori che piove o neve oppure sole e noi dentro ad ascoltare il tempo
Che cede al completamento della macchina numero tre,
Terza in coda all'ordine del giorno spento,
Terza di un milione di volte tre come tirannica triade divina
Che mi giunge in forma di latrato ordine del latore del contratto.
C'è braccia che cedono e polmoni che scoppiano,
Ci sono influenze in agosto e coccoloni d'autunno e crisi isteriche
Tra le nove e mezza e la pausa del mezzogiorno
O' sciocchi operai convinti dell'ingiustizia di un boccone avaro,
Fanciulli felini attenti all'ora della carità nell'appartamento del padrone.
C'è odore di nebbia dentro, mentre che fuori il monte tuba pensoso e ignaro delle mie mani
Che prendono vecchiaia ad ogni vite avvitata in buchi predetti e filettati,
Perfetti cerchi di precisione, mappe ad una via soltanto che nemmeno ci devi pensare,
Che se si accomoda la vite allora la vita va bene, la certezza di una risposta da chiedere mai,
Della verità più grande più certa più meglio di tutte le altre verità – ne ho lette già sei, oggi!
E nemmeno una che fosse vera come te, o' ditta!
È anche più meglio della sposa che mi aspetta stanca a casa dopo aver fatto il suo lavoro
Che vedo meno del mio perché vedo da qui, da qui, da dentro di me.
C'è odore di ferro in bagno,
Quando debole fuggo i minuti gentile pausa d'intervallo dopo la fine della macchina numero tre.
C'è profumo d'amore di là per la strada,
Mentre fumo che guardo future le compagne mie camminare verso i loro banchi,
Due per fila e tutte verso questa cosa che mi porto con me.
C'è un sentore che pensavo che ascoltando i suoni e che approvando le irritazioni,
Che vivendo le infiammazioni e tracotante ingaggiando liti coi muscoli tremuli di ripetizione ottusa,
Che così avrei tremato e capito quel che di confuso che era lo Stato ed io parte di Lui,
Che prima era solo racconto e sarebbe diventato realtà, con te, lavoro mio, mia ditta,
E per questo ti canto un'ode, nella prima pausa del lunedì.
Ode alla ditta!
Ode alla ditta, ma l'ode di che? Ma perché?, lavoro mio,
Perché invece io mi sento consumato da ogni minuto che ti regalo?
Perché mi succede come con un drogato gli occhi gonfi,
Che è mio tutto il travaglio e delle mie tasche tutto il prezzo
E nulla mi arriva se non un pezzo di carota marcia dopo mesi flagellati di bastone?
Perché mi pare che a starti appresso la mia anima si spenga con te,
Con lei il tutto che so, con te la mia mano ignara di note,
Con lei la mia voce un tempo prona alle parole,
Con loro la mia testa un tempo bella e capelluta,
Canuta invece ora e anche glabra?
Perché pensavo: mi hanno detto che ad averti avuto il tonfo del mio cuore spezzato sarebbe sparito sarebbe,
Avrei anche avuto un bel mondo strabordo di cose di tutte le cose di tutto quel senso che anche il mio mondo da solo non ha, perché?,
Il sogno di un tempo dei miei mi parlava di cieli e vacanze, sereno e virtù,
Ma a me arriva bruto, mi giunge con fare baldante di un bulletto di quartiere che mi accenna un pestaggio mentre io muto:
"dammi i soldi e non ti picchio, ma poi ti picchio anche lo stesso perché picchiandoti capisci perché è meglio non farsi picchiare da me, capisci?"
Perché lavoro, io? Perché, lavoro mio?
Ode alla ditta!
Ode alla ditta, lei mamma mi nutre che poi mi concede
Che poi mi si cede che lei non prevede che io veda il disastro nei muscoli stanchi di una ripetizione incongruente col senso proprio della vita.
Ode alla vita, dico io! Ode alla ditta, che tanto mi ha dato e che –
Più importante ancora: ascoltate, stupidi! –
Che tanto tempo mi consuma, perché non è quello in fondo il problema?
Eh? Neh? Eh? Ah!
Non è il tempo il problema?
Come farlo passare questo tempo benedetto che altrimenti dovrei vivere per intero,
Magari impiegarlo in passeggio e perdendo gli occhi dentro un melo un pomeriggio d'agosto,
Giammai!, poeta infame inutile essere privo di spina dorsale sarei io a godermi quei pomeriggi inani!
Mai! Aah...
Mai più godrò del sorriso dei monti,
Mai più gioirò della spensieratezza degli uccelli,
Mai più vedrò gloria e piacere e amore, perché in cambio avrò la più bella, la più meglio,
La più tutto delle cose tutte tutte tutte tutte tutte loro quelle cose che voglio per me,
Per sempre vedrò la verità più grande, sola, unica, inesorabilmente mia e vera,
Tanto che pieno griderò al mondo –
Sì, vabbè, al mondo: al negro, al frocio e a sua madre troia: lavora! Merda!
Che chi non lavora non ha merito e chi non ha merito non ha diritto e chi non ha diritto è schiavo!
Ode alla ditta!
Grazie, ditta mia, grazie lavoro, grazie mille dei miei euro te li cedo,
Grazie mille e mille scuse se ogni tanto mi permetto mi sconforto e poi ti chiedo un poco di più:
Son momenti di debolezza, sono sciocche pretese di uguaglianza,
È l'imberbe nel mio animo che ancora si nutre di pensiero e sperata falsità,
Scusaci tutti, ditta mia, lavoro mio, scusali:
Io sono tuo, e vivrò nei tuoi suoni e godrò del rumore di linea e vivrò dei tuoi sassi,
Io come Margherita, io Napoleone, io Ramsete e Mao e Che Guevara e Baby K,
Io come tutti quelli famosi che non so chi sono e mai saprò –
Perché, mentre che gli altri perdevano il tempo chini al tavolo o affaticati all'auricolare,
Io mentre che loro...
Io avvitavo, schiumavo, prendevo e spostavo, giravo e scalavo, versavo e fermavo,
Tagliavo, sognavo, impazzivo, bevevo, tornavo, partivo, tornavo, restavo, impazzivo, scoprivo, sapevo,
Imparavo a parlare del male dei poveri amici miei folli col credo del Bene dell'uomo se libero,
E imballavo e sistemavo e arrangiavo e scusavo e sì insomma,
Vivevo della vita vera, tua, tua, tua, mio prodigo ergastolo, ubiquo lavoro mio.
Ode alla ditta!
Mia tu. E figlio io.
Ode alla ditta!



Credits
Writer(s): Alberto Pisan
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