Violando le conseguenze che la violazione dei sacri limiti tra le persone comporta...
Persona ridicola, io sono vuoto
Con tutto questo uscire e rientrare nel mio corpo
Si è cancellato ogni elemento dettaglio e tutto intorno
Le strade sbiadiscono
Le persone che le popolano spariscono
Perdo i contorni, i primi piani, gli sfondi
Dimentico i contorni, i primi, i secondi
Cosa sono gli antipasti?
Piatto unico
Riso bianco nel piatto
Sono immerso nel bianco
Mi concentro: il sapore del riso cotto senza sale è difficile
Ma da qualche parte esiste
Mastico lentamente, il bianco non crudo e non scotto
Contestualizzo per voi; mi riprendo
Si sta formando un contesto
Un'immagine di riferimento in cui sono dentro
Quattro sedili, lo scompartimento di un treno
Rumore ritmico continuo, finestrino, movimento
Affronto un piccolo viaggio, mangio il riso portato da casa,
mi trovo seduto in uno di questi quattro
aggregati di tessuto e polivinilcloruro espanso.
Il pagamento di un biglietto non mi autorizza a lamentarmi del
ritardo, ma mi consente di evitare di fare questi 120
kilometri camminando, quindi sto fermo, aspetto e guardo.
Ci sono anche delle persone,
caratteristiche preziose sulle quali mi sto concentrando:
una coppia che si bacia con trasporto,
vorrei chiedergli se si amano, in fondo, se si sopportano.
Guardo quegli anziani, li ascolto mentre protestano,
cozzano contro la serietà di un controllore,
un muro impenetrabile che screzia la conversazione intercalando con "
Signore!", mentre gli anziani propongono
difetti che, dialetti che non correggono.
Guardo questa ragazza che mi siede dirimpetto,
un'espressione malinconica e scomoda,
trasognata, persa nel movimento finestrico.
Ha qualche anno in più di me, azzardo un paio, abito scuro, comodo,
non dark, niente trucco, niente top e spille, brillantini,
niente scarpe torturatrici, è una faccia con dei capelli,
un corpo ricoperto dai vestiti,
caratteristiche estraibili dai movimenti
delle braccia, una spalla si stiracchia.
Ho del riso nella barba: lo recupero, lo mangio con nonscialanza.
Le sue palpebre si dimostrano e scompaiono,
con movimento ripetuto e
cronometrabile, come i gradini di una scala mobile...
eeh, no, come il percorso di un torrente,
nascosto di tanto in tanto dagli alberi,
cerco di scorgere piccole cascate, cornici immaginarie da osservare.
Resto composto, assorto nel guardare,
con queste metafore artificiose che lasciano a
desiderare, di sapere cosa prova: perché continua a cambiare posa?
Sarà turbata?
Sarà nervosa?
Come sarà mai capitata qui?
Quale sarà la sua storia?
È storta e scomoda, non veste né sobria né alla moda, respira,
sospira e sbuffa, non trova pace,
contrariamente a quello che comunemente si potrebbe immaginare in un
racconto ed incontro casuale, qui non c'è nessun gioco di sguardi:
è solo che io guardo le ragazze come guardo i quadri, anzi,
con ancora più interesse,
perché a differenza di un dipinto non stanno mai ferme,
e non sempre è un elogio, e non sempre, anzi, quasi mai,
i miei sguardi vogliono sottendere un evidente desiderio di
possederle, anche perché non ho mai compreso come il fare sesso
potrebbe assomigliare al possedere un oggetto: alla fine di un atto,
o coito, io resto me e l'ipotetica lei resta lei,
senza un'ipoteca sul corpo,
e con un temporaneo aumento del distacco dato
da quei due minuti di nichilismo post-orgasmico...
ops, scu., scusate, scusate,
ma voi riuscivate ad immaginare soltanto fino al
momento adatto al climax di gesti e frasi da letto?
Scusate se vi ricordo che un'esperienza completa è un'economia di
salita e discesa, dove la parola "economia" disturba il vostro modo
di intendere la spontaneità, e sviluppa il mio al di là del vostro.
Ecco, alla fine anche io mi ritrovo a guardare una ragazza
sconosciuta e inevitabilmente a immaginarla meno vestita, sdraiata,
in una dinamica concitata,
di certo meno turbata di quanto non sia ora seduta su quella scomoda
poltrona, ogni volta che la guardo si
rigira, resta tesa, sembra presa dall'ira.
Un momento...
un momento!
Sono io!
Sono io che quando la guardo la indispongo, la disturbo,
la distruggo, immaginando chi sia, cosa stia pensando.
Sono io la fonte del disagio!
Non diciamo stupidaggini:
ci dev'essere una condizione di base che la porta a lasciare i nervi
scoperti, che gli esterni poi possono
toccare e mandare in sovraccarico, ed io non voglio!
Non voglio che questa si convinca che non distinguo la parola dalla
lingua, non voglio che intinga il suo odio nei miei alambicchi,
che mi guardi con gli occhi ardenti e
gelidi di chi preferisce incolparti e non capirti.
Sottolineo il fatto che anche io la sto incolpando immaginando il suo
sguardo, la sua non-comprensione, sto complicando troppo,
sto generando altra tensione, adesso mi smonto,
adesso distruggo il muro invisibile che si frappone
tra queste due persone, una delle quali sono io, appunto.
Ho voglia di usare di nuovo la magia,
pur sapendo che ne starei abusando,
ma il solo volerlo mette il processo in atto,
il solo sperare di non combinare un disastro incrina la mia dote
prima, e voi, voi non crediate che basti essere maghi per essere
maghi, e non provate a farlo a casa:
non cominciate mai discorsi profondi senza pretesti,
non sentitevi protetti dai talenti, dalle intenzioni,
dai buoni sentimenti,
l'unica cosa che conta è la porta senza porta,
che in questo caso è chiusa, ed io sbaglio la formula: "
Ehm, mi dispiace che i miei sguardi ti innervosiscano!.".
Silenzio... "
No, è che mi sembrava di essere io ad importunarti
vedendoti così nervosa nel tuo continuo voltarti e rivoltarti...".
Di nuovo silenzio, forse gli occhi reagiscono... "
Sto cercando di scusarmi,
nella misura in cui l'ambiguità
emotiva sia competenza di entrambi." "
Smettila!" "
Cosa?" "
Smettila, io non ti conosco!" "
Certo, hai ragione, me ne vado." "
Ecco, bravo!".
Mi alzo, raccolgo il mio riso, il mio zaino dall'apposito vano,
sono bianco e sparso in chicchi,
sono deconcentrato come un normale essere umano che ha sbagliato da
principio, e mentre guado il corridoio per trovare un rifugio
dall'eccidio di empatia avvenuto alle mie spalle Euridice si
pronuncia e,
che Orfeo si giri o meno, sa che comunque è persa, è morta. "
Voi uomini siete tutti uguali!" "
Scusa, perché un mago non può mai permettersi di
perdere la concentrazione?" Ah sì, cazzo, puttana... "
Puttana, puttana nervosa di merda!, io non sono un essere umano,
io non sono uguale, me ne sto andando,
non è vero che le donne sono più sensibili,
sono empaticamente sterili, anzi non tutte, però tu sicuramente!
Prendi un passante che ti guarda e si fa
domande e lo cospargi delle tue ansie e debolezze!
Sei tu quella che dovrebbe andarsene!" "
Io non me ne vado!" "
Come ti permetti?" "
Datti una calmata!" "
Solo perché ho perso il gioco a trattenersi vuoi che me ne vada?" "
Il gioco che tu hai iniziato,
adesso chiamo il capotreno!" C'è qualcosa oltre l'atteggiamento. "
E chiamalo, così vedremo!" Passiamo dalle frasi agli insulti,
dagli insulti agli sputi (scambio di saliva),
è lo spettacolo più basso dato
dall'orgoglio, una pretesa di rispetto.
Non voglio dirti chi sia stato a tirare il primo pugno,
il primo schiaffo, perché ne fareste una questione di morale:
un uomo picchia una donna, una donna picchia un uomo,
ma non vi sto raccontando degli episodi degradanti per
alimentare il vostro moralismo, indirizzare il vostro giudizio.
Voglio che voi entriate nelle cose,
non che vi chiudiate in gabbie e prendiate le distanze.
Capite il dramma?
Non tutti si scontrano per gioco,
non tutti stanno al giogo dell'allenamento,
non tutti incastrano a forza una morale nel picchiare da sfoggiare
per giustificare il come e il quando:
io e questa ragazza ci stiamo solo picchiando,
e chi pensa che una donna sia indifesa ha una bassa concezione
di entrambi i sessi e non ha visto tutti i pugni che mi sono preso.
Per voi la violenza è tutta uguale e non
distinguete una contesa da una prepotenza.
Il fatto che sia io che voi subiamo la preponderanza altrui tutti i
giorni senza pause non vi autorizza a smettere di pensare alle cause
complesse, alle vostre competenze,
e non siete nemmeno autorizzati a farvi autorizzare da una persona
come me che lascia gli aneddoti aperti per fare
in modo che andiate a dormire con gli occhi aperti.
Alla fine, mi sarò davvero preso a schiaffi con quella ragazza?
E gli altri passeggeri saranno intervenuti?
Ci saranno stati risvolti legali?
Se leggete questo pezzo come leggete e vi informate dai giornali,
dai giornali, allora non basta che io mi ripeta
due volte, diventiamo esponenziali, esponenziali.
Con tutto questo uscire e rientrare nel mio corpo
Si è cancellato ogni elemento dettaglio e tutto intorno
Le strade sbiadiscono
Le persone che le popolano spariscono
Perdo i contorni, i primi piani, gli sfondi
Dimentico i contorni, i primi, i secondi
Cosa sono gli antipasti?
Piatto unico
Riso bianco nel piatto
Sono immerso nel bianco
Mi concentro: il sapore del riso cotto senza sale è difficile
Ma da qualche parte esiste
Mastico lentamente, il bianco non crudo e non scotto
Contestualizzo per voi; mi riprendo
Si sta formando un contesto
Un'immagine di riferimento in cui sono dentro
Quattro sedili, lo scompartimento di un treno
Rumore ritmico continuo, finestrino, movimento
Affronto un piccolo viaggio, mangio il riso portato da casa,
mi trovo seduto in uno di questi quattro
aggregati di tessuto e polivinilcloruro espanso.
Il pagamento di un biglietto non mi autorizza a lamentarmi del
ritardo, ma mi consente di evitare di fare questi 120
kilometri camminando, quindi sto fermo, aspetto e guardo.
Ci sono anche delle persone,
caratteristiche preziose sulle quali mi sto concentrando:
una coppia che si bacia con trasporto,
vorrei chiedergli se si amano, in fondo, se si sopportano.
Guardo quegli anziani, li ascolto mentre protestano,
cozzano contro la serietà di un controllore,
un muro impenetrabile che screzia la conversazione intercalando con "
Signore!", mentre gli anziani propongono
difetti che, dialetti che non correggono.
Guardo questa ragazza che mi siede dirimpetto,
un'espressione malinconica e scomoda,
trasognata, persa nel movimento finestrico.
Ha qualche anno in più di me, azzardo un paio, abito scuro, comodo,
non dark, niente trucco, niente top e spille, brillantini,
niente scarpe torturatrici, è una faccia con dei capelli,
un corpo ricoperto dai vestiti,
caratteristiche estraibili dai movimenti
delle braccia, una spalla si stiracchia.
Ho del riso nella barba: lo recupero, lo mangio con nonscialanza.
Le sue palpebre si dimostrano e scompaiono,
con movimento ripetuto e
cronometrabile, come i gradini di una scala mobile...
eeh, no, come il percorso di un torrente,
nascosto di tanto in tanto dagli alberi,
cerco di scorgere piccole cascate, cornici immaginarie da osservare.
Resto composto, assorto nel guardare,
con queste metafore artificiose che lasciano a
desiderare, di sapere cosa prova: perché continua a cambiare posa?
Sarà turbata?
Sarà nervosa?
Come sarà mai capitata qui?
Quale sarà la sua storia?
È storta e scomoda, non veste né sobria né alla moda, respira,
sospira e sbuffa, non trova pace,
contrariamente a quello che comunemente si potrebbe immaginare in un
racconto ed incontro casuale, qui non c'è nessun gioco di sguardi:
è solo che io guardo le ragazze come guardo i quadri, anzi,
con ancora più interesse,
perché a differenza di un dipinto non stanno mai ferme,
e non sempre è un elogio, e non sempre, anzi, quasi mai,
i miei sguardi vogliono sottendere un evidente desiderio di
possederle, anche perché non ho mai compreso come il fare sesso
potrebbe assomigliare al possedere un oggetto: alla fine di un atto,
o coito, io resto me e l'ipotetica lei resta lei,
senza un'ipoteca sul corpo,
e con un temporaneo aumento del distacco dato
da quei due minuti di nichilismo post-orgasmico...
ops, scu., scusate, scusate,
ma voi riuscivate ad immaginare soltanto fino al
momento adatto al climax di gesti e frasi da letto?
Scusate se vi ricordo che un'esperienza completa è un'economia di
salita e discesa, dove la parola "economia" disturba il vostro modo
di intendere la spontaneità, e sviluppa il mio al di là del vostro.
Ecco, alla fine anche io mi ritrovo a guardare una ragazza
sconosciuta e inevitabilmente a immaginarla meno vestita, sdraiata,
in una dinamica concitata,
di certo meno turbata di quanto non sia ora seduta su quella scomoda
poltrona, ogni volta che la guardo si
rigira, resta tesa, sembra presa dall'ira.
Un momento...
un momento!
Sono io!
Sono io che quando la guardo la indispongo, la disturbo,
la distruggo, immaginando chi sia, cosa stia pensando.
Sono io la fonte del disagio!
Non diciamo stupidaggini:
ci dev'essere una condizione di base che la porta a lasciare i nervi
scoperti, che gli esterni poi possono
toccare e mandare in sovraccarico, ed io non voglio!
Non voglio che questa si convinca che non distinguo la parola dalla
lingua, non voglio che intinga il suo odio nei miei alambicchi,
che mi guardi con gli occhi ardenti e
gelidi di chi preferisce incolparti e non capirti.
Sottolineo il fatto che anche io la sto incolpando immaginando il suo
sguardo, la sua non-comprensione, sto complicando troppo,
sto generando altra tensione, adesso mi smonto,
adesso distruggo il muro invisibile che si frappone
tra queste due persone, una delle quali sono io, appunto.
Ho voglia di usare di nuovo la magia,
pur sapendo che ne starei abusando,
ma il solo volerlo mette il processo in atto,
il solo sperare di non combinare un disastro incrina la mia dote
prima, e voi, voi non crediate che basti essere maghi per essere
maghi, e non provate a farlo a casa:
non cominciate mai discorsi profondi senza pretesti,
non sentitevi protetti dai talenti, dalle intenzioni,
dai buoni sentimenti,
l'unica cosa che conta è la porta senza porta,
che in questo caso è chiusa, ed io sbaglio la formula: "
Ehm, mi dispiace che i miei sguardi ti innervosiscano!.".
Silenzio... "
No, è che mi sembrava di essere io ad importunarti
vedendoti così nervosa nel tuo continuo voltarti e rivoltarti...".
Di nuovo silenzio, forse gli occhi reagiscono... "
Sto cercando di scusarmi,
nella misura in cui l'ambiguità
emotiva sia competenza di entrambi." "
Smettila!" "
Cosa?" "
Smettila, io non ti conosco!" "
Certo, hai ragione, me ne vado." "
Ecco, bravo!".
Mi alzo, raccolgo il mio riso, il mio zaino dall'apposito vano,
sono bianco e sparso in chicchi,
sono deconcentrato come un normale essere umano che ha sbagliato da
principio, e mentre guado il corridoio per trovare un rifugio
dall'eccidio di empatia avvenuto alle mie spalle Euridice si
pronuncia e,
che Orfeo si giri o meno, sa che comunque è persa, è morta. "
Voi uomini siete tutti uguali!" "
Scusa, perché un mago non può mai permettersi di
perdere la concentrazione?" Ah sì, cazzo, puttana... "
Puttana, puttana nervosa di merda!, io non sono un essere umano,
io non sono uguale, me ne sto andando,
non è vero che le donne sono più sensibili,
sono empaticamente sterili, anzi non tutte, però tu sicuramente!
Prendi un passante che ti guarda e si fa
domande e lo cospargi delle tue ansie e debolezze!
Sei tu quella che dovrebbe andarsene!" "
Io non me ne vado!" "
Come ti permetti?" "
Datti una calmata!" "
Solo perché ho perso il gioco a trattenersi vuoi che me ne vada?" "
Il gioco che tu hai iniziato,
adesso chiamo il capotreno!" C'è qualcosa oltre l'atteggiamento. "
E chiamalo, così vedremo!" Passiamo dalle frasi agli insulti,
dagli insulti agli sputi (scambio di saliva),
è lo spettacolo più basso dato
dall'orgoglio, una pretesa di rispetto.
Non voglio dirti chi sia stato a tirare il primo pugno,
il primo schiaffo, perché ne fareste una questione di morale:
un uomo picchia una donna, una donna picchia un uomo,
ma non vi sto raccontando degli episodi degradanti per
alimentare il vostro moralismo, indirizzare il vostro giudizio.
Voglio che voi entriate nelle cose,
non che vi chiudiate in gabbie e prendiate le distanze.
Capite il dramma?
Non tutti si scontrano per gioco,
non tutti stanno al giogo dell'allenamento,
non tutti incastrano a forza una morale nel picchiare da sfoggiare
per giustificare il come e il quando:
io e questa ragazza ci stiamo solo picchiando,
e chi pensa che una donna sia indifesa ha una bassa concezione
di entrambi i sessi e non ha visto tutti i pugni che mi sono preso.
Per voi la violenza è tutta uguale e non
distinguete una contesa da una prepotenza.
Il fatto che sia io che voi subiamo la preponderanza altrui tutti i
giorni senza pause non vi autorizza a smettere di pensare alle cause
complesse, alle vostre competenze,
e non siete nemmeno autorizzati a farvi autorizzare da una persona
come me che lascia gli aneddoti aperti per fare
in modo che andiate a dormire con gli occhi aperti.
Alla fine, mi sarò davvero preso a schiaffi con quella ragazza?
E gli altri passeggeri saranno intervenuti?
Ci saranno stati risvolti legali?
Se leggete questo pezzo come leggete e vi informate dai giornali,
dai giornali, allora non basta che io mi ripeta
due volte, diventiamo esponenziali, esponenziali.
Credits
Writer(s): Riccardo Gamondi, Matteo Palma
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